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Vienna 1967: primi giorni di un bellissimo ottobre. Sono nella hall di un albergo con altri trentasei italiani in attesa della guida interprete che per due giorni ci farà scoprire storia e arte di una città severa ma suggestiva. E’ in ritardo e comincio ad essere nervoso. E’ il mio primo incarico di una certa rilevanza e voglio che tutto proceda senza sbavature.
Il portiere apre la grande porta centrale della hall, saluta con un baciamano un’anziana signora che entra. Piccola, un fisico un po’ pesante, cammina con difficoltà appoggiandosi ad un bastone. L’esperienza le fa intuire immediatamente il mio ruolo di capo-gruppo. Si avvicina, mi saluta, non accenna a una parola di scuse ed insieme saliamo sull’autobus.
In pochi minuti conquista la platea: grazie ad un italiano perfetto senza particolari inflessioni, si qualifica.
La sua famiglia apparteneva all’aristocrazia austriaca ed è la prima di tre sorelle. Come tale doveva parlare almeno tre lingue del regno. Non ricordo il cognome. Ci teneva a specificare che il suo nome si scrive alla latina con la h tra l’unica t e la a. Noblesse oblige.
Nata nel 1885 ha vissuto sempre a Vienna: il padre era funzionario della segreteria di corte. Per postulato voleva dire molto lavoro ed una paga simbolica. Conosce tutto della città e risponde con cortesia a tutte le domande. La sua voce s’incrina quando qualcuno la interroga sulla vita a Vienna negli anni della “belle èpoque”.
“…Cari signori, qui non c’è mai stata la belle époque. In questa città che sta risorgendo adesso dalla maledizione di due guerre mondiali, il colera agli inizi del secolo era endemico.
Certo qualcuno osannava le favole sulla felix Austria e lo stile Biedermaier.
Quand’era stagione di vino nuovo le cantine di Grinzing si riempivano di studenti e ragazze che cantavano. Noi non avevamo le ricchezze della Germania e dovevamo guardarci a oriente dal grande orso russo. Credetemi, non volevamo la guerra del 1914. Troppi nostri giovani erano morti negli anni precedenti in guerre di cui faccio fatica a comprendere la ragione.
La nostra ricchezza era una sobrietà vissuta per convinzione dal popolo e dal nostro amato sovrano…”
Una lacrima le riga il volto. Vorrei dire o fare qualcosa ma sono impotente.
“…Io sono stata una fedele suddita di Franz Joseph, quello che voi chiamate Cecco Beppe.
Nel pronunciare quel nome ora c’è un tono di compatimento che posso accettare.
I primi gruppi italiani che ho guidato per Vienna qualche anno fa avevano un accento dispregiativo che mi offendeva.
Io l’ho conosciuto in un ballo a corte quando ho compiuto vent’anni. Sapeva tutto di me e delle tribolazioni economiche della mia famiglia. Mi disse che aveva grande stima di mio padre e del duro lavoro che tutti i giorni gli metteva sulle spalle. Era anziano ma ballava come un giovanotto.
Quella sera è impressa nella mia memoria in modo indelebile. Era elegante nelle parole. Famoso per la sua sobrietà, non era avaro. Il suo modo di essere, unito a un naturale carisma, era un riferimento per tutti i sudditi.
Per questo dico che fu un vero sovrano e non un semplice re. Fece molti errori e credette di poter essere sopra la storia non valutando le trasformazioni sociali e lo sviluppo industriale che stava cambiando tutta l’Europa.
Lui vivo non ci sarebbe stato l’Hanscluss. Non avrebbe permesso a Hitler di entrare nella Hofburg. L’Austria tutta fece un errore accettando quel pazzo.
Quando morì nel 1916 intuii subito che con lui moriva parte di me, dei sogni e dell’allegria di tanta parte dell’Austria. Mio padre morì un anno dopo sereno per averlo servito con diligenza.
Vennero gli anni del vuoto sociale. Non c’erano più le certezze costruite in secoli di paziente lavoro dinastico. Un’assenza di riferimenti culturali e istituzionali rallentava la costruzione di un nuovo assetto statale. Come dite voi, mi arrangiai. Feci la cameriera in un albergo, la governante e infine approdai alle ferrovie dove lavorai fino al 1953.
Nel ’39 comincia l’altra guerra. Ha inghiottito le mie sorelle e tutti i miei cugini.
Nel 1946 mi ritrovai sola in una terra che mi era estranea. Non conoscevo più nessuno e avevo paura di tutto e di tutti. Il lavoro e poi la possibilità d’incontrare turisti, di parlare con gente diversa mi ha consentito di sopravvivere.
Grazie per avermi ascoltato…”
Rientriamo in albergo. Convenevoli d’uso. Un membro del gruppo le rivolge una domanda: ”Qual è il futuro dell’Austria?”
“Guardi la cartina d’Europa: l’Austria è un cuneo nelle truppe corazzate del patto di Varsavia.
La nostra protezione è affidata alle bombe nucleari di USA, Gran Bretagna e Francia.
Se la situazione dovesse precipitare farei, se Dio ci dà il tempo perché avremmo veramente pochi giorni,
come usava il mio amato sovrano prima di una guerra: andrei a messa".
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