‘Mai, io non mi perdono mai dimmi adesso come stai, tu come stai, vorrei abbracciarti e non lo sai e poi mai, come non ti ho detto mai, amo tutto ciò che sei, quello che dai, quello che inventi e poi mi fai’
La nebbia di una grigia sera di Novembre faceva sembrare il mondo offuscato, ovattato, come se fosse osservato dietro una grande lente appannata, dove la luce occupa quello spazio strettamente necessario per non trasformare tutto in nero, buio. Buio come il cuore di chi ha smesso di sperare, come i sogni di chi ha smesso di crederci, dimenticati e abbandonati in una soffitta vecchia e polverosa. Il grande albero alle sue spalle le offriva un comodo appoggio sul quale abbandonarsi, più per la malinconia che la assaliva che per la stanchezza fisica. Come un nonno affettuoso ma severo, euforico ma anziano, iperattivo ma seduto. Ecco cosa rappresentava quell’albero. Un ossimoro continuo in grado però di infonderle sicurezza in quella vita, ormai sempre in bilico tra tanti dubbi ed interrogativi. Un lampione in lontananza le permetteva di avere quella poca luce che le serviva per farsi largo con gli occhi, per osservare un paesaggio che tanto odiava ma al cospetto del quale tornava sempre. L’erba sulla quale era seduta era umida e fredda, tipica di serate come quella, ma lei non se ne preoccupava, non indossava certo i suoi pantaloni migliori o le scarpe col tacco che le impedivano una camminata perlomeno dignitosa. A lui tutto ciò non era mai servito. L’assenza di voci, o meglio, di qualsiasi tipo di suono le metteva sempre quell’inquietudine tipica di chi si sente in pericolo senza averne le prove concrete e tangibili. Colpa del mondo, indubbiamente. Colpa dei telegiornali, dei quotidiani e delle serie televisive che piacevano tanto a suo fratello, colpa di chi non rinunciava mai a sbatterle in faccia il nuovo fatto di cronaca del giorno che aveva per protagonista, sempre ed immancabilmente, una ragazza come lei, torturata in qualche via secondaria di una grande metropoli e poi ritrovata nel bosco del caso, ormai priva di vita. Dopo un po’ di tempo si era iniziata ad abituare a quel silenzio surreale, a quella calma piatta e,anzi, la trovava affascinante. Oltre che misteriosa ed elettrizzante, ovvio. Lo studio del paesaggio le permetteva sempre di perdere quei pochi minuti, di guadagnare quel breve momento di illusione che le serviva per appoggiare lo sguardo davanti a sé dove un grosso masso piantato nel terreno faceva mostra di sé, e forse anche fin troppo. Gli occhi offuscati dalle lacrime le impedivano di leggere quel nome e quelle due date incise su di esso, azione inutile, dal momento che le conosceva a memoria e mai le avrebbe scordate. Un breve flashback si impadronì della sua mente e lei lasciò che si sviluppasse, libero, come quello che raccontava.
Un pomeriggio di primavera, fresco e profumato, un parco giochi affollato e una sigaretta in mano. Due ragazzi sulla panchina ridevano felici, senza pensieri come quel cartone animato della Disney che li aveva fatti sognare da piccoli e che ancora si intravedeva nel fondo dei loro occhi, ormai cresciuti.
‘Li vedi quei bambini? E se un giorno ci ritrovassimo qui ad accompagnare i NOSTRI figli? Ci pensi?’ ‘un incubo!’ scherzò lui. ‘Dai smettila! Dei bambini come noi, con gli occhi scuri e i capelli neri che giocano insieme senza litigare’ ‘Ma tu pensi davvero che arriveremo a quel punto?’ si fece serio gettando via la sigaretta ormai ridotta ad un breve mozzicone. ‘Potrebbe essere! Perché no?’ ‘e tu vivresti tutti questi anni con me per poi avere dei VERI bambini, una VERA famiglia, una VERA casa?’ ‘certo! Si fa cosi vero?’ ‘No, non si fa così. Non si può vivere programmando il futuro, non si può pensare di restare -per sempre- cullati da un sogno che forse non si avvererà mai. Lo vedi quel tipo sulla panchina laggiù in fondo? Quello solo? Ecco probabilmente lui ha una vita molto più emozionante dei genitori qui presenti, sempre di corsa e sempre attivi, ormai stanchi della loro vita tanto sognata e appena cominciata. Invece lui, lì da solo accompagnato solo da quel libro, sicuramente ha vissuto molto di più. VISSUTO capisci? Come uno che vive davvero. Boh non so spiegartelo meglio.’ ‘Allora faremo l’uomo e la donna soli sulle panchine, solo che saremo in due’ scherzò lei che, effettivamente, non aveva colto bene il senso del discorso. Lui la guardò penetrandola con gli occhi, sorrise della sua ingenuità e le diede un bacio, un bacio di quelli brevi ma intensi, di quelli dolci ma sentiti. Di quelli che uno non si scorda. E aveva ragione, perché a distanza di tre anni, lei ancora lo ricordava.
Ritornò al suo piccolo mondo, a quella lapide imponente e triste e a quella nebbia alienante e non potè fare a meno di viaggiare ancora con la mente, anche se stavolta davvero non avrebbe voluto.
Loro due in mezzo ad una strada l’inverno successivo. Loro due che gridavano con la pioggia che gli scorreva sul viso e sui capelli. Loro due senza ombrello che gesticolavano incuranti del traffico che avevano bloccato. Lui, in piedi di fianco alla portiera della macchina ancora spalancata e lei, ai piedi del marciapiede. Loro due. Forse furiosi, stanchi, paranoici e volutamente offensivi. Forse non lo sapevano di amarsi ancora, forse solo lo ignoravano. Dopo l’ultima parola di troppo lui risalì in macchina e ripartì a tutta velocità, ancora incurante del mondo intorno, più furioso di lui per avere assistito ad una scena che, non solo non interessava ma che aveva ritardato i programmi di una giornata già troppo lunga. Fù l’ultima volta che lo rivide. Poche ore dopo la corsa in ospedale, le lacrime e le crisi isteriche che lui non avrebbe sopportato e poi più niente.
Il vuoto. Vuota era diventata la sua vita, vuota la sua casa, vuoto il suo cellulare, vuote le giornate. Ecco come ci si riduce. Sorrise malinconicamente tornando alla realtà e ripensando a quando da piccola le favole avevano sempre un lieto fine e nessuno moriva, nessuno se ne andava senza lasciare traccia, nessuno. Tante volte la mamma, le amiche, le maestre l’avevano avvertita che quelle erano solo storie inventate da chi, come lei, aveva troppa fantasia e troppa speranza. La realtà è diversa, la realtà è nuda e cruda e non ha pietà. Ma che motivo aveva per ubbidire, togliendosele dalla testa, proprio lei che non ubbidiva neanche per sbaglio a niente e a nessuno? Con un sospiro raccolse la felpa, la borsa e il libro che stava leggendo, raccolse la speranza e la forza che ancora le erano rimaste. La tristezza no, la seguiva anche senza che lei la raccogliesse. Percorse il breve tratto che la separava dal cancello del cimitero e vide che un ragazzo stava chiudendo i cancelli.
‘No aspetta!’ urlò, terrorizzata all’idea di rimanere chiusa in quel luogo del tutto inospitale. ‘Scusa, non ti avevo vista. Effettivamente mancano dieci minuti all’orario di chiusura ma avevo fretta di tornare a casa, voglio farmi una doccia ed uscire con i miei amici e non ho controllato bene se qualcuno fosse ancora qui. Scusa davvero! Non pensavo che le belle ragazze frequentassero i ..’ bloccò il sorriso e la battuta più o meno squallida, la migliore comunque che gli fosse uscita sul momento, appena vide le guance segnate dalle lacrime di lei e i capelli arruffati e sconvolti. ‘Non ti preoccupare, buona serata!’ tagliò corto lei, frettolosa solo di tornarsene a casa e andare a letto, anche se erano solo le otto di sera. ‘No dai aspetta..’ continuò lui. ‘Perché?’ chiese stupita lei. ‘Niente, lascia perdere. Buona serata.’ Sorrise, accingendosi a serrare con la chiave l’ultima porta rimastogli.
Stava per attraversare la strada quando improvvisamente il rumore di una brusca frenata le perforò i timpani, spaventandola terribilmente. Non aveva controllato a destra e a sinistra che arrivasse qualcuno, come ormai non faceva più da tempo. Tre anni per l’esattezza. Si girò verso il conducente intenzionata a scusarsi e tirare dritto quando vide che dalla macchina era sbucato il tipo del cancello. Le sorrise. Lei sorrise.
‘Il destino ti ha dato una seconda occasione. E forse anche a me.’ Disse lui, sempre sorridendo. Lei guardò il cielo, lo sguardo stanco, triste e distrutto. ‘Forse è davvero così.’ Rispose lei che non si riferiva certo alla fortuna di non essere finita faccia a terra con l’asfalto.