Una tozza costruzione quadrata fatta di assi di legno. Il colore è indefinibile: forse grigio. Le porte, se esistite, sono scomparse. Di eventuali finestre rimane solo il vuoto nelle pareti. Non ci sono sedie o panche. Nessuna traccia di presenza umana. Fuori, un marciapiede di legno dello stesso colore.
Un binario molto lucido. Molti treni sono passati. Forse disegna una curva. Il paesaggio è piatto. Una sterminata distesa di spighe di grano, fluttuanti sotto una leggera brezza, chiude gli orizzonti. Non un uccello nell’aria. Il cielo è plumbeo come prima di un temporale. Lontano, all’orizzonte, una striscia di cielo azzurro regala un po’ di sole. Sono in piedi su quel marciapiede. Aspetto ma non so cosa o chi. So anche che deve succedere qualcosa: la tensione è fortissima. Sono al limite della mia resistenza. Se aspetto ancora, un po’ dovrò morirne. Non voglio.
D’improvviso, una locomotiva nera attraversa la stazione a tutta velocità. Il suo colore nero è simbolo di morte, i cerchioni delle ruote e i biellismi sono perfettamente cromati, non una sbavatura di grasso o olio. Le ruote sono dipinte di uno smagliante colore rosso.
Poi sono nella cabina di comando. Tutto è lucido e approntato per l'uso ma io, che vorrei in qualche modo rallentare, non so cosa fare. E la tensione di prima si somma alla consapevolezza di essere solo. Solitudine esistenziale, fatta di angoscia allo stato puro. Emerge prepotente la consapevolezza amara della mia impotenza.
Tento di fare qualcosa ma la tensione aumenta ancora. Per sopravvivere mi sveglio.
Questo cari amici di LDM è la sintesi di un incubo cha ha tormentato la mia vita tra i 33 ed i 35 anni. Ero arrivato al punto di avere paura la sera ad andare a letto. Non potevo sopportarne la tensione. I sogni, di qualunque genere, hanno una particolarità: si propongono come certezze assolute. Tutto è definito e la scenografia non accetta correzioni. Ricordo com’erano lucidi quei binari e la tecnologia applicata sull'armamento era all'avanguardia. Questo me lo diceva il sogno. Dove nasceva la tensione che caricava ogni immagine, non lo so e adesso dico: non voglio saperlo.
Un giorno ne parlai con mia moglie che immediatamente sentenziò: "...non hai digerito. La sera mangi troppo..." Nemmeno Dio mise tanta sicumera nei suoi ordini quando creò l'universo. Lascio al lettore ogni commento.
Portai quel sogno come patrimonio personale alle riunioni periodiche dei volontari per l'assistenza domiciliare ai malati terminali. Fu un suggerimento dello psicologo che gestiva le nostre problematiche di relazione. Ci si affeziona a un malato e lo strappo della morte a volte crea tensioni e solleva domande alle quali è difficile rispondere. Il sogno non è una soluzione ma un avvertimento, un avviso che è giunto il momento di guardarsi dentro e scoprire qualcosa di nuovo di noi.