Elena ha diciassette anni, un futuro glabro, inesistente e senza protagonisti.
Prende le sue cose, si guarda nello specchio lungo, non si piace, poi prende lo zaino e saetta fuori.
Si sente una porta di ingresso che sbatte più veloce della luce e lei, felpa nera, cappello da rapper, fugge.
Fugge da sé stessa, dai suoi occhi impauriti, dalla sua incertezza, da una scuola che ti lascia da sola, da una vita da aria viziata, solitamente da due genitori apprensivi, che coccolano, spingono sui suoi sogni.
Elena è bella, occhi grandi e nocciola, volto ovale perfetto, un corpo da donna così preparato alla vita, al sentimento, ma si vede brutta, insignificante e non opportuna.
Un filo interminabile elettrico si spegne ed accende, si fulmina ogni volta che lei corre, si perde nel tempo minore di una Realtà competitiva, aggressiva e rampante.
Sulla ruota panoramica tutto è più bello e più lento.
Un giro salva la volontà di non finire nel vuoto, di credere, ancora, che la giostra giri e giri.
Lá fuori c'è una tigre che sbrana.