La domenica era consacrata ai musei. Ogni settimana una meta diversa. Così Franco aveva visitato moltissime città e conosciuto un sacco di persone viaggiando. Quella mattina in treno si era scelto un posto vicino a una mamma con due bambini. Era rimasto un po’ maestro anche dopo la pensione e non perdeva occasione per dedicarsi ai piccoli. Si accorse subito, però, di qualcosa di anomalo. La donna aveva ricambiato il suo saluto con un cenno veloce della testa e poi si era isolata con lo sguardo fisso fuori dal finestrino. I bambini erano riusciti a malapena a ricambiare il suo sorriso e poi si erano dedicati allo studio approfondito delle loro mani.

         Franco si agitò sul sedile. Questa cosa era inaudita, non poteva lasciar correre. Intanto osservava discretamente la donna. Una giovane madre come tante. Lineamenti dolci, abbigliamento pratico, una borsa degna di Mary Poppins. Niente da segnalare, a meno di un certo nervosismo. Forse avevano litigato appena saliti sul treno e lui aveva interrotto una discussione. I bambini lo osservavano di nascosto. Franco se n’era accorto subito e faceva in modo da non girarsi dalla loro parte per lasciarli liberi di fantasticare. Di più, aveva tirato fuori il suo libro di favole fatto di pannolenci e lo aveva poggiato con noncuranza sul sedile affianco a lui.

La donna tormentava la fibbia della borsa gonfia. Di tanto in tanto sembrava sfuggirle un tremito che dalla fronte le scivolava fino agli occhi, obbligandola a stringerli come due fessure. Franco si alzò con gesto teatrale e dichiarò ad alta voce che non aveva ancora fatto colazione.

         “Andrei a cercare uno spuntino, qualcosa di dolce. Se lei permette signora, porterei i bambini con me. A lei non andrebbe un caffè?”

         Fratello e sorella avevano acceso i loro volti così bene che il no disegnato sul broncio materno si era spento come un mozzicone pestato.

         “Occhei, ma tornate presto” aveva guardato Franco come per dirgli tante cose e lui aveva sostenuto lo sguardo con un cenno di assenso anti-preoccupazione.

Scoprirono però che il treno non prevedeva bar, né servizi affini. Franco seppe mutare la delusione in occasione di divertimento e il treno in un museo viaggiante. I finestrini erano cornici con quadri trasformisti ad alta velocità. I passeggeri erano statue e bisognava indovinare che tipo di artista le avesse scolpite. La tensione si sciolse in un baleno e i bambini riacquistarono l’espressione naturale da piccole pesti. Franco era soddisfatto e felice quando ripresero i posti a sedere. Si scusò con la madre per il tempo trascorso e per non averle portato il caffè.

         “Comunque saremo in stazione tra pochissimo e se non dovete scappare immediatamente andremo a prendere qualcosa insieme”

         La donna era trasalita alla parola scappare o almeno così era sembrato a Franco.

Giù dal treno li raggiunse un uomo, sbucato in malo modo tra la gente. Sfilò la borsa dalle mani della donna e disse tagliente:

         “Non salutate papà?” i bambini lo guardavano smarriti ma lui non fece caso. Lei era sbiancata. Le sorrise sprezzante:

         “Credevi che non sarei venuto a riprendervi?”

         Franco si era tenuto a debita distanza, ma poi aveva sentito il bisogno di intervenire.

         “Buongiorno” allungò la mano verso l’uomo, senza esito “mi chiamo Franco. Abbiamo viaggiato assieme e li ho invitai al bar della stazione. Posso offrirle un caffè?”

         Franco non aveva mai sperimentato tanta ostilità e per un momento temette di beccarsi un pugno.

         “Siamo parenti? No. Allora sparisca”

         Un’urgenza allarmante premeva nei sensi di Franco. Cercava un motivo plausibile per prendere tempo. Era certo di leggere una disperazione opaca negli occhi di quella madre. L’uomo intanto procedeva stringendola per un braccio. Franco camminava a poca distanza sentendosi uno stupido. La voce stridula:

         “Allora arrivederci. Bambini vi è caduto questo” allungò una mano tendendo il libro di panno. La bambina si avvicinò mentre il padre ringhiava. Franco le strizzò l’occhio e il piccolo sorriso d’intesa che lei gli restituì accettando il libro fu l’unica immagine su cui riuscì a concentrarsi per il resto della giornata. Era ancora lì, quando il tg della notte trasmise le foto di una donna precipitata accidentalmente da un ponte durante una gita di famiglia. Una donna qualunque, lineamenti dolci, abbigliamento pratico, un marito afflitto. Il cuore di Franco precipitò dallo stesso ponte e lì si fermò. Ma solo per un momento. Franco si agitò sul divano. Questa cosa era inaudita, non poteva lasciar correre.

        

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