Estate e lenzuola sul verde, che mi fanno venire in mente le calze di Irma La Dolce nel film rivisto stamattina, formidabili e dolcissimi Jack Lemmon e Shirley McLane... mai vista una ragazza con le calze verdi!, davvero? si abbinano alla mia biancheria...
Cosi, fra le mie lenzuola improbabili e il vento leggero della notte dalla finestra aperta, a volte non ricordo chi sono, e divento molte cose: si accavallano colori, rumore di passi, un altro vento in un'altra camera, le prime luci di quel mattino.
Lo scricchiolare leggero del letto quando mia madre si alzava, e io dormivo in un lettino vicino al suo: uno dei primi suoni che ricordo, insieme al fiotto di luce di un giorno di sole, in quella stessa camera, un fascio luminoso e pieno di essere animati in cui mettevo la mano: il fascio di luce che avrei amato al cinema.
L'aria di quelle notti a Torino, l'estate di due anni fa in cui ci sono stata per qualche giorno, mia madre ancora sana: un'immagine che arriva e per un attimo trionfa, prima di spegnersi, mortificata dal ricordo.
Il mio girotondo nel letto per trovare un angolo fresco, come capita a quelle donne a matita di Matisse, donne senza pace, che si addormentano rannicchiate o con le gambe in su.
Il profilo delle montagne vicino a casa, le persiane da spalancare, odore e aria ferma di campagna; il cigolare del pozzo nel cortile, con mio padre che si alzava prima di tutti e quel maledetto orto era sempre da innaffiare.
I miei tentativi di far piano piano al mattino, per vestirmi senza audio e andare a lavorare, lasciando alla nonna un principe di quattro anni, nato con le antenne.
Le auto che passano nella notte sotto casa, qualcuna con la radio accesa, e una ragazzina che ascoltava piano la musica nel letto, sotto le lenzuola, e Barry Ryan quel mattino presto cantava Eloise...
Quel ragazzo che mi ha accompagnato a casa, una sera, alto e bello e inaspettato, uscivo sempre con un'amica tanto più carina di me, ma era proprio me che lui voleva accompagnare; e ci siamo fermati a chiacchierare su una panchina e poi sotto casa: e a quindici anni ho passato la mia prima notte in bianco, perché il mio sogno si meritava gli occhi aperti.
Tutti i dormiveglia tranquilli della mia vita, che ho spesso considerato noiosi e un po' lo erano, ma sono stati un dono e se dovessi disegnarli sarebbero un porcellino di terracotta, una riserva.
I rumori della colazione al mattino in cucina, voci di un uomo e di bambini, acciottolio di tazze, la sedia che striscia, qualcuno che grida: chiudiamo la porta, e io faccio finta di dormire ancora, e mi sembra la musica più bella del mondo.
Il sonno interrotto per aerosol dei figli, la tosse che non va via, l'asma, la solitudine che si fa tetto e casa.
Il giorno in cui l'ho incontrato, le notti in cui non era il caldo a non farmi dormire: io stesa sul letto, ancora vestita, a pensargli e, forse per la prima volta, a contar le ore che ci separavano. 
Il rumore dei pensieri che non sanno tacere; tutte le albe in cui mi sarei svegliata sola e detto che oggi andrà meglio, pesta e impaurita, ma senza rimpianti.
La mia gatta che si acciambella fra le mie gambe, sembriamo due donnine Michelin, e faccio piano come facevo con Filippo anni fa, quando si addormentava sulle mie spalle e giocavamo a fare lo zainetto.
Le telefonate notturne, a luce spenta, nel letto, anche con amiche e poi con te: le risate di quella donna, che fa come con Barry Ryan qualche anno fa, le nasconde sotto le lenzuola.
Mio figlio silenzioso che torna a casa, la fascia sui capelli che ora son lunghi, il sibilo del suo pc, le All Star buttate in un angolo. 
Un mucchio di pezzi da mettere in ordine, stasera, ed è da parecchio che non lavoro a mosaico..; e domattina passerà a trovarci quell'uomo che una volta mi preparava colazione, siamo d'accordo da stasera, ci porta i cornetti, noi prepariamo il caffè. Scherzeremo un po' insieme, farà finta di avere fretta ma ti porterà fuori per allenarti nei parcheggi pre-esame di guida.
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