Quando sentì suonare al citofono, aveva smesso da molto tempo di aspettare.
Ad ogni squillo di telefono aveva sperato fosse lui. Poiil tempo aveva appannato ogni cosa, anche il bisogno di felicità.
Ma le era rimasta addosso quellanostalgia di attesa, di un desiderio mai avverato.
Quando sentì suonare vide il suo visonel videocitofono, non lo vedeva da vent’anni ma nonstupì che fosse lì, né stupore né entusiasmo Da molto aveva smesso di spiarlo, di ricalcarne gli orari, di tentare d’incontrarlo. S’eraprotetta la vita nella routine, nell’ assenza di batticuori.
Lo attese alla porta; notò che impiegava più tempo sulle scale, il suo passo si era fatto lento e pesante.
Non teme più di essere visto, pensò, prende tempo, non ha più fretta.
E’ strano,pensò, da vecchi la fretta ti abbandona nonostante il tempo sfugga sempre più.
Si scostò dalla porta gli lasciò il passo, si guardarono. Solo un abbraccio quasi formale, nemmeno un sorriso, appena un cenno negli occhi. Non dissero nulla.
Aveva sempre saputo che sarebbe tornato.
Per anni, aveva immaginato un bacio sulle labbra. Ora non era pudore né imbarazzo a trattenere quel gesto, solo inutilità.
Notò i suoi occhi, più liquidi e smarriti di quanto ricordasse. Le strizzarono ilcuore.
La colpì la camminata pesante cometenesse sulle spalle gli anni accumulati senza percorrere quei dieci passi che arrivavano al divano, dove s’era seduto tante volte.
Aveva perso la leggiadria del passo, quell’essere dinoccolato che tanto la affascinava.
Non aveva messo peso ma appariva gravato di stanchezza,provato dalla vita che altri avevano calibrato per lui. Una vita recitata, ogni scena già scritta, uncopione prevedibile.
Si sedette al solito posto, tolse gli occhiali come a mettersi a nudo, una disponibilità a fidarsi ancora di lei, un gesto che sempre l’aveva intenerita.
Reclinò la testa indietro, sullo schienale, chiuse gli occhi e rimase un tempo infinito, senza una parola.
Forse aggiustava il respiro, chissà le scale, forse nella sua mente riportava l’orologio indietro di vent’anni.
Lasciò che si prendesse tutto il tempo necessario, attese per minuti eterni.
Non gli chiese perché fosse tornato, nè dove fosse stato in quel terzo di vita: non era rimasto con lei e questo era tutto.
Forse ripensarono entrambi alle parole di vent’anni prima, i singhiozzi, le imprecazioni, la rabbia. La testardaggine di lei nel difendere quel rapporto ormai finito, la sofferenza, la resa finale che l’aveva annientata. A quanto lui fosse stato determinato nel chiudere definitivamente, lui che determinato non era stato mai nella sua vita. Era stata lotta aspra, elastico teso che sempretornava al punto di partenza.
Ora sembrava esaurita ogni parola. Il silenzio si gonfiava di ricordi. Pensò che davvero il tempo medicava ogni sofferenza, anche la più atroce, ma lasciava cuori induriti che non battevano più a tempo.
Quando lui riaprì gli occhi,leiriuscì a sostenere quegli occhi liquidi solo un attimo..
Cos’altro si poteva dire che non fosse già stato detto in tutta quell’assenza?
Qualunque cosa sembrava inutile dopo anni di attesa, persino a lei che pure cercava sempre nuovi argomenti per trattenerlo ancora qualche minuto.
Quando se ne andò una voce dentro le disse “Hai visto? Hai vinto, è tornato” ma era un’infinita sconfitta quel brivido alla schiena.
Sprimacciò l’imbottito sul divano, là dove era rimasta la conca della sua seduta, tese bene la stoffa, cancellando, non senza esitare, anche l’ultima impronta.