“Presto, ha deciso?”
Il medico guarda l'orologio, e io mi siedo.
Piego il collo e affondo nei palmi delle mani.
“Deve decidere!”
Giro la maniglia, e apro la finestra.
“Oh! Senti che bell'arietta calda, Carlo?”
Lo guardo, ma continua a dormire.
“Mi è quasi venuta la pelle d'oca – cazzo, che goduria.”
Parlo da solo, e riempio la stanza.
“M'ero quasi scordato l'odore del mondo, senza pioggia.”
La televisione sovrasta il letto, appollaiata sulla parete opposta.
“Ah – perdonami, adesso ti accendo la TV.”
Premo ON, e una lucina rossa fa capolino.
“Cosa vorresti guardare?”
Il suono statico scandisce l'attesa per audio e immagini.
“Non so se facciano i Dalton...”
Faccio zapping, finché vedo quattro alieni (blu, arancione, verde e rosso) corrono dentro una casa.
“Questo lo guardavi, vero?”
Sbattono la porta, e all'ultimo rimane la testa incastrata dentro – si solleva in aria, e ricade per terra sbattendo il sedere.
Porto la mano alla bocca, e trattengo a stento un sorriso.
“Carlo, certo che guardi proprio dei cartoni del cazzo.”
Gli altri tre tornano indietro, e provano ad aiutarlo – lo prendono per le spalle e tirano, ma il corpo si stacca dal collo, che rimane teso a mezz'asta.
Sento caldo, e mi slaccio le maniche della camicia.
“A proposito: ho sentito Giovanna, la mamma di Mattia. L'ho incontrata per caso al mercato, durante la fila per il pollo. Stava bene, e ti salutava – le è dispiaciuto non poter venire sabato, ma aveva l'influenza...”
La voce trema, e do un colpo di tosse.
“...Dicevo, era malata, e per questo è rimasta a casa. Mattia è venuto, e con lui Gianluca, Matteo, Marco, Stefano – c'era anche Paola, seduta nelle prime panche, con i suoi.”
Mi sporgo, e controllo i valori – innocui, finché le macchine se ne stanno zitte.
Ha i ricci tutti schiacciati contro il cuscino, e un accenno di barba.
“Sai, è passato un anno ma faccio ancora fatica ad accettare...”
Alzo lo sguardo al soffitto, e mi mordo un labbro.
“Voglio dire, non è così che una persona si immagina debba andare a finire. Nessuno tiene davvero in conto gli imprevisti.”
La lampada trema, e sbatto gli occhi per bloccarla.
“E dire che, fra i due, era lei quella a mettere sempre la cintura di sicurezza in macchina.”
Torno a guardarlo – le braccia sono fuori dalle lenzuola, e al dito indice è attaccata una specie di molletta.
Mi toccano dentro il braccio.
“Scusi, signore: non voglio metterle fretta, ma l'orario delle visite è già scaduto da un pezzo.”
Paola alza le spalle – è giovane, e affonda lo sguardo ai bordi del camice.
“Ho capito, grazie.”
Prendo un fazzoletto di carta dalle tasche, e mi soffio il naso.
“Stia tranquilla, cinque minuti e me ne vado.”
Risponde con un mugugno, e si avvia a testa bassa in corridoio – ha un passo veloce, e scandisce la quiete del reparto.
Faccio un cenno con la testa a Carlo.
“Non ci crederai, ma Paola ha tenuto tutti i tuoi fumetti, e ogni giorno ne legge uno.”
Gli porto una mano alla fronte, e lo accarezzo – la pelle è calda, e asciuta.
“E continua a prendere le tue serie, per quando ci degnerai di alzarti – fallo per lei, almeno. La sua camera trabocca di giornalini, e ne hai già una ventina da recuperare.”
Credo di vedere tremare le labbra, ma non ci casco.
Non è niente.
Le voci sono luci confuse che spuntano fra le dita, e a malapena le vedo.
“Non c'è altra scelta, mi creda. Non c'è altro che si possa fare, per sua moglie.”
Devo chiudere i pugni e afferrare qualcosa, prima che tutto mi sfugga.
“Si tratta dell'unico cuore compatibile disponibile in questo momento.”
Le labbra si muovono, ma io osservo la scena nascosto dentro la parete.
“Per suo figlio ci sono ancora buone possibilità, mi creda.”
Due spalle enormi fissano il pavimento – la maglietta che indossano è sudata, e non ha maniche.
Lo bacio sulla fronte, e me ne vado.
“Ciao Carlo, a domani.”
Lascio la televisione accesa, per tenergli compagnia.